Io Veronesi lo ricordo così, un medico innamorato delle donne
E dopo i saluti, l’addio. Ma se l’uomo Veronesi ci ha lasciato, la sua lezione di Scienza e Umanità resta. Difficile raccontarlo in un articolo. L’unica è affidarsi ai ricordi. Per una vita Luciano Ragno, giornalista, ha raccontato le sfide, i sogni, i successi di Umberto Veronesi. Abbiamo chiesto a lui di raccontarci quella lezione da non dimenticare. E il suo ricordo più caro. ‘L’ultima volta che ci siamo sentiti, in un’aula universitaria’ ci ha detto. ‘Un ragazzo tra i ragazzi’.
di Luciano Ragno
Non ha vinto la guerra al cancro, il suo sogno. Ma ha vinto la guerra alla rassegnazione e al fatalismo davanti al tumore, donando alla paziente dignità e integrità. Umberto Veronesi, scienziato libero, laico, politico, gentiluomo. Innamorato della donna. “Amo troppo la donna per vedere il suo dolore quando, dopo l’intervento, si pone davanti allo specchio e scopre i seni straziati. Amo la donna più degli uomini, perché quando ama, frantuma ogni regola, si dona. Il suo è un amore insensato”.
Una vita contro la “maledizione” del cancro. Ma anche contro la filosofia operatoria dominante secondo la quale tutti i tumori, piccoli e grandi, vanno cancellati con il bisturi, radicalmente, e sottoposti al bombardamento di dosi massicce di radio e farmaci. Il nemico, voleva il diktat, va eliminato, potrebbe resuscitare.
Un giorno, un giovane medico nato in una cascina del Pavese il 28 novembre del 1925 e formato in brevi soggiorni all’estero accanto a grandi maestri, approda all’Istituto Tumori di Milano, diventandone nel 1975 il direttore. Un gruppo affiatato – Umberto Veronesi, Pietro Bucalossi e Gianni Bonadonna – cancella il diktat affermando che la “demolizione radicale” non va bene neppure per gli edifici. Nasce la quadrantectomia, il bisturi porta via solo una piccola sezione della mammella, quanto basta per estirpare il tumore. Il resto del seno è salvo. E poi, minima dose di farmaci e di radio. La donna ritrova la dignità. “Mi ha salvato – afferma una paziente dopo il primo intervento- soprattutto mi ha cancellato il cancro dalla mente”.
Lo incontro, è il 1981, quando tutto il mondo parla di lui: la prestigiosa rivista New England Journal of Medicine ha annunciato che un italiano sta ribaltando la strategia chirurgica del tumore del seno. “E’ solo un primo passo -mi dice- il cancro al seno non è ancora alle corde, ma io sono tenace, ho accanto collaboratori di grande spessore”. E’ l’inizio di un lungo rapporto, basato su una profonda stima reciproca.
Umberto Veronesi un giorno mi convoca a Milano, è il 1984: “ Sto organizzando il Congresso Europeo di Oncologia a Firenze, con Natale Cascinelli, si parlerà molto di prevenzione, i consigli non dovranno rimanere nell’aula dei lavori, li deve imparare a memoria l’opinione pubblica, ti prego di coordinare i giornalisti nella diffusione dei messaggi”. E a Fortezza da Basso, nel discorso inaugurale, lancia un appello che diventerà il ‘manifesto’ della lotta ai tumori: “Combattiamo insieme la maledizione del cancro, noi medici, ingegneri dei farmaci e infermieri e voi cittadini. Ognuno può proteggersi dal tumore, non è poi così difficile, basta gettare via le sigarette, mangiare poco, scegliere i cibi giusti, meglio un regime alimentare vegetariano. E battersi per difendere l’ambiente”. Alla fine della cerimonia, mentre in sala stampa incontra i giornalisti di tutto il mondo, apre una confezione di cioccolata, ne mangia un quadratino e, sorridendo, dice: ” Potete non crederci, mi sto aiutando a star bene, come vedete, basta poco”.
“La maledizione non è ancora finita”. Veronesi scopre la spia del tumore, il linfonodo sentinella. E così il chirurgo, durante l’intervento, ha la visione chiara di cosa asportare senza toccare tessuti sani.
Passa poco tempo e il “rivoluzionario chirurgo” abbatte un’altra certezza dell’oncologia secondo la quale il bisturi non ammette intrusioni durante l’intervento: è il solo protagonista. Veronesi, invece, vuole accanto a sé il radiologo e l’esperto di radioterapia mentre opera . La paziente è ancora sul tavolo quando l’irradiazione brucia le cellule tumorali che fossero sfuggite al bisturi. La donna continua a ringraziare.
“ La maledizione non è finita”, ormai per Veronesi è un’ossessione. Non si ferma. Crea nel 1994 l’Istituto Europeo, “ il sapere e il fare”, sintesi di Ricerca e assistenza. Un’eccellenza che il mondo ci invidia.
Il 25 aprile del 2000 è nominato Ministro della Sanità. Si scusa con il Presidente della Repubblica se non può partecipare, con i colleghi, alla cerimonia del giuramento al Quirinale, deve operare una paziente. Appena insediato lancia le battaglie sociali, stimolando maggioranza e opposizione, non senza contrasti: lotta al fumo, massimo impegno per l’eutanasia (“ E’ un diritto del malato”, annuncia in TV), guerra al dolore inutile. I risultati si cominciano a vedere, tutti positivi.
Un giorno sono io a ‘convocare’ Veronesi. Cme docente di comunicazione scientifica al Corso di Laurea in Biotecnologie della Riproduzione all’Università di Teramo, lo invito a tenere una lezione, via telefono in viva voce. E’ il 23 febbraio di quest’anno. Con la sua voce pacata, non trascurando curiosi aneddoti, spiega che la salute passa attraverso l’informazione, quando è corretta e tranquillizzante: “I saggi consigli di prevenzione valgono più dei farmaci, credetemi. E, soprattutto, salvano”.
“ Professor Veronesi- chiede uno studente- qual è la battaglia che consiglia a noi, giovani ricercatori?”.
“Coltivate il dubbio, ma siate trasgressivi”.