Tumori e Covid: 2 milioni di screening in meno

Ad oggi, in Italia, quasi un milione di persone è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e può considerarsi guarito dopo una diagnosi di tumore. Risultati importanti, che rischiano, però, di essere compromessi dalla pandemia. In particolare è evidente l’impatto del Covid-19 sui programmi di prevenzione secondaria. Nei primi nove mesi del 2020 sono stati eseguiti oltre due milioni di esami di screening in meno rispetto al 2019.
«Se la situazione si prolunga – spiega Giordano Beretta, Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica al convegno sullo “Stato dell’Oncologia in Italia – diventa concreto il rischio di un maggior numero di diagnosi di cancro in fase avanzata, con conseguente peggioramento della prognosi, aumento della mortalità e delle spese per le cure. Il ritardo diagnostico accumulato si sta allungando ed è pari a 4,7 mesi per le lesioni colorettali, a 4,4 mesi per quelle della cervice uterina e a 3,9 mesi per carcinomi mammari. Sono le conseguenze indirette della pandemia. Queste latenze e le relative lesioni non individuate dipendono sia dal minore numero di persone invitate che dalla minore adesione da parte della popolazione durante la pandemia, per timore del contagio. L’utilizzo dei dispositivi di protezione, l’intensificazione delle procedure di sanificazione e la necessità di mantenere il distanziamento fisico anche nelle sale di attesa hanno dilatato il tempo necessario tra un esame di screening e l’altro, con conseguente riduzione del numero di sedute disponibili. Inoltre, in diversi contesti, già in epoca pre-Covid il personale allocato ai programmi di prevenzione secondaria era appena sufficiente a svolgere l’attività di base. E, in alcune Regioni, il personale, che durante la prima ondata del virus era stato riconvertito a supporto dell’emergenza, non è stato ancora completamente riallocato allo screening, di fatto minando la capacità di ripresa dei programmi».
«Chiediamo – prosegue Beretta -, da un lato, che sia mantenuta la completa separazione dei percorsi fra pazienti Covid e non Covid, perché le cure anti-cancro devono continuare in sicurezza anche durante la pandemia. Dall’altro lato, sono necessari il riavvio immediato degli screening in tutte le Regioni e una loro radicale ristrutturazione, anche con l’acquisto di nuove apparecchiature e l’assunzione di personale. Una parte delle risorse per la sanità ricavate dal Recovery Fund può essere destinata al rafforzamento delle campagne di prevenzione, sia primaria che secondaria. Non solo. Una quota consistente dei finanziamenti dovrebbe essere indirizzata anche al potenziamento della telemedicina e al rafforzamento dell’assistenza domiciliare oncologica, creando percorsi definiti di collaborazione con la medicina di famiglia e con le strutture di cure intermedie. L’integrazione con la medicina del territorio, che ha evidenziato preoccupanti lacune durante l’emergenza sanitaria, è uno dei capisaldi da cui deve partire l’effettiva realizzazione delle Reti oncologiche regionali, purtroppo rimaste solo sulla carta o del tutto assenti in diverse Regioni».
Nel 2020, nel mondo, sono stati stimati quasi 20 milioni di nuovi casi di tumore. Circa un terzo può essere prevenuto, basti pensare che il 22% è causato dal fumo di sigaretta e il 5% dell’abuso di alcol. Nel 2020, in Italia, ne sono stati diagnosticati 377.000, circa 6.000 casi in più rispetto al 2019.
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