Social freezing: congelare ovociti a 30 anni per non rinunciare ad essere madri a 40
Quanto è difficile diventare madri! E per una volta non c’entrano solo i voucher, i co.co.co, la precarietà e nemmeno la ricerca infinita dell’uomo perfetto che vuole metter su famiglia. In Italia una donna su quattro non diventerà mai madre, e non per una scelta consapevole ma perché la cicogna non si decide ad arrivare. E allora si ricorre al ‘social freezing’ che non è una piattaforma dove condividere le foto di cuccioli e ricette ma il ricorso al congelamento degli ovociti quando ancora si è nella piena età fertile per utilizzarli più avanti negli anni.

prof. Andrea Genazzani
«Oggi solo un quarto delle donne italiane procrea con semplicità – dice Andrea Genazzani Segretario Generale della Accademia Internazionale della Riproduzione Umana, in occasione del 17° Congresso dell’Accademia Internazionale della Riproduzione Umana in corso a Roma – e non sono solo le difficoltà socio-economiche e lavorative a rendere difficile la maternità. E’ soprattutto il vissuto personale della donna ad incidere sulla possibilità di realizzare il suo desiderio. L’età del primo figlio è sempre più spostata in avanti. Incide, e molto, quel lasso di tempo troppo lungo tra la prima mestruazione e il momento della procreazione: 15-20 anni in cui possono accadere molte cose, dalla comparsa della endometriosi, alla presenza di fibromi, storie di infezioni genitali ricorrenti e malattie sessualmente trasmesse».
Mamme oltre 30 anni, qualche volta per scelta il più delle volte per necessità. Perché è difficile diventare autonomi e indipendenti, abbastanza forti da metter su famiglia. Ma l’orologio biologico non tiene conto della precarietà.
« La difficoltà attuale nel rispondere alle esigenze di poter avere una gravidanza- aggiunge Genazzani – è legata alle caratteristiche della coppia. Infatti, sia la donna che l’uomo possono essere portatori di difficoltà personali fortemente dipendenti dalla storia di ciascuno, dall’età, dalle malattie pregresse e dal vissuto sessuale e riproduttivo. Le possibilità attuali di poter dare un figlio ad una coppia con le tecniche di riproduzione assistita si sono arricchite dalle recenti osservazioni sull’importanza di utilizzare tecniche di stimolazione ovarica che siano mirate non tanto al recupero di un gran numero di ovociti quanto a quello di ovociti di alta qualità biologica per la cui produzione siano rispettati i criteri di maturazione fisiologici. Una tecnologia che ha reso possibile il controllo dell’intero processo, permettendoci di trasferire un solo embrione con le più grandi potenzialità biologiche o, al massimo due, nelle donne di oltre 35 anni, senza modificare ma anzi incrementando le possibilità di una gravidanza. La stessa tecnica, inoltre, avvalendosi del trasferimento di un solo embrione, ha reso possibile la riduzione, in maniera drastica, del numero di gravidanze plurime e delle loro complicanze legate spesso alla prematurità del parto o ad altre patologie della gravidanza plurima».
«E’ certo che se la Società non cambierà i criteri per rendere possibile una gravidanza nei tempi e nei momenti fisiologici- aggiunge Genazzani – allora sempre più la medicina si dovrà far carico della necessità di prolungare i tempi per consentire la gravidanza anche in quelle donne in cui la fisiologia non l’avrebbe mai permesso. Non è un caso che è in aumento il social freezing: riguarda donne, spesso impegnate nella carriera, che sanno di poter desiderare un figlio avanti con l’età, anche oltre i 40 anni. La scienza offre loro l’opportunità di avere una maternità con i propri embrioni utilizzando il congelamento degli ovociti. Congelamento effettuato non a 40 anni ma a 30 anni o poco più. Così quella percentuale di successo dell’8% ottenuto in donne quarantenni, sale al 35-45% quando si utilizzeranno ovociti raccolti e congelati prima dei 34 anni. La donna realizzata nel lavoro e anche nella vita affettiva potrà avere una gravidanza addirittura con embrioni giovani nati dalle sue giovani uova. D’altrone il congelamento di ovociti è già una tecnica ampiamente consolidata e usata per tutte quelle giovani donne affette da tumore o altre malattie i cui trattamenti specifici distruggono il tessuto ovarico rendendo pressoché impossibile una gravidanza. Ora dopo i trattamenti queste donne possono conccepire un figlio utilizzando il proprio ovocita congelato».
La nuova indicazione, condivisa dagli esperti della riproduzione umana, è quella di trasferire nell’utero della donna, un solo embrione al massimo due.
«E’ preferibile – spiega Pedro N Barri, Direttore del Centro Dexeus per la salute della Donna, di Barcellona- trasferire un solo embrione se la donna ha meno di 35 anni, due se di età superiore. Con le attuali tecniche di osservazione controllata nel tempo possiamo selezionare quell’embrione che ha la massima potenzialità biologica e garantire così una sola gravidanza a termine».