Screening prenatale: a Torino si sperimenta una nuova metodica

Un prelievo di sangue alla mamma per sapere quale sia il rischio del bambino di nascere con delle malformazioni. La nuova frontiera dello studio prenatale ormai passa da qui. Una realtà che c’è da diversi anni ma che via via si fa sempre più sofisticata e affidabile. Non è ancora alla portata di tutti ma inizia a diventare molto più accessibile e frequente. Attenzione: lo screening prenatale che si fa sul sangue della mamma non è una diagnosi, non dice se il bambino nascerà con una malformazione ma soltanto se c’è una percentuale di rischio tale da rendere consigliate tecniche più invasive come amniocentesi e villocentesi. Lo screening prenatale sul sangue materno – semplificando al massimo – consiste nel cercare dei frammenti di DNA del feto provenienti dalla placenta in modo da poterli analizzare e, quindi, trarne informazioni importanti. E’ nella parola ‘frammenti’ la differenza rispetto all’amniocentesi e alla villocentesi dove, invece, si studia direttamente il DNA del feto e quindi si può ‘leggere’ e ‘predire’ tutta la sua storia. All’Ospedale Sant’Anna di Torino ha preso il via il primo studio mondiale su un nuovo test del DNA fetale per lo screening prenatale non invasivo. Unico Centro in Italia adotterà un nuovo test che usa una metodologia innovativa e una strumentazione completamente automatizzata messa a punto da un laboratorio di Stoccolma. «Si tratta di uno studio di validazione – spiega la dottoressa Elsa Viora, Responsabile del Centro di Ecografia Ostetrica Ginecologica e Diagnosi Prenatale dell’Ospedale Sant’Anna di Torino – e cioè per un anno circa studieremo se questo test è affidabile e altamente predittivo come sembra essere su carta. Il principio di base è lo stesso di altri test del DNA fetale ma la metodologia usata è differente e, per la prima volta al mondo, saremo noi italiani ad andarla a studiare sul campo. Questo significa che sottoporremo le donne a questo test e poi controlleremo i risultati confrontandoli sia con i test di screening tradizionali (combinato / integrato) che con quelli diagnostici (amniocentesi / villi)».
Qual è il vantaggio di questo nuovo test?
«Sembra avere un’efficacia migliore. Soprattutto in quei casi dove la quantità di frammenti di DNA fetali nel sangue sono troppo pochi per poter giungere a delle conclusioni affidabili. E poi sembra ridurre il rischio di ‘false risposte’. Lo scopo di questo nuovo studio è proprio quello di confrontare i risultati di un nuovo test del DNA fetale con i risultati dei metodi tradizionali di calcolo del rischio di trisomia 21 fetale (età materna, test combinato / integrato), con l’obiettivo di elaborare un miglior percorso di accesso alla diagnosi prenatale invasiva che sia basato su test con maggiore sensibilità e tasso inferiore di falsi positivi. Questa metodica può consentire una valutazione del rischio di malattie cromosomiche fetali più accurato rispetto ai test “tradizionali”, cioè i test combinato / integrato. Ciò significa che è un test più sensibile e più specifico, con meno falsi negativi e meno falsi positivi, e che quindi verrà fatta l’amniocentesi e/o il prelievo di villi coriali solo in casi meglio accertati ad un numero molto inferiore di future mamme. Con questa metodica di DNA libero fetale è possibile valutare non solo il rischio di trisomia del cromosoma 21, causa della sindrome di Down, ma anche di trisomia 18 e 13, seppure con diversa sensibilità e specificità».
Uno dei limiti del test di screening prenatale è quello dei costi.

Questa metodologia ha dei costi inferiori rispetto alle altre e questo la rende interessante perché significa che, se si dimostrerà valida, sarà accessibile ad una platea più ampia di donne.
A chi si rivolgono i test di screening? Le donne ‘a rischio’ non passano direttamente alla fase di diagnosi con amniocentesi e/o villocentesi?
Le situazioni sono molte e molto diverse fra loro. Ci sono le donne che non sono ad alto rischio e che quindi non si sottoporrebbero ad esami invasivi ma che potrebbero trarre giovamento da questo tipo di esami. Poi ci sono le donne che non vogliono correre il rischio di aborto legato all’amniocentesi e alla villocentesi, pensiamo solo alle donne che, avanti con gli anni, sono faticosamente arrivate ad una gravidanza dopo un lungo e doloroso iter di maternità assistita.
Ma il rischio di aborto con amniocentesi e villocentesi non si è drasticamente abbattuto?
Rispetto al passato i rischi si sono sicuramente ridotti, perché le tecniche si sono profondamente migliorate. Però c’è e bisogna che le donne ne siano consapevoli. Il letteratura si parla dell’1% anche se sappiamo tutti che si tratta di un dato che, nella pratica clinica, è molto più basso. Ma è un dato formulato in base a grandi gruppi, che tiene conto di donne molto a rischio e di donne giovani a bassissimo rischio. E’ una media matematica, molto prudente ma della quale dobbiamo tenere conto.
Lo studio, di cui è responsabile la dottoressa Enza Pavanello, viene offerto alle donne che eseguono l’amniocentesi o il prelievo di villi coriali presso il Centro di Ecografia Ostetrica Ginecologica e Diagnosi Prenatale dell’Ospedale Sant’Anna di Torino (diretto dalla dottoressa Elsa Viora) del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia (diretto dal dottor Daniele Farina). Degli esami di laboratorio se ne occupano la Biochimica Clinica (diretta dal dottor Giulio Mengozzi) e la Genetica Medica universitaria (diretta dalla professoressa Barbara Pasini) del Dipartimento di Medicina di Laboratorio della Città della Salute (diretto dal professor Antonio Amoroso).
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