Parole che fanno la differenza

Quando si sta male non ci sono parole consolatorie, parole di incoraggiamento, parole di conforto che possano risolvere il problema. Ma parole che possono fare la differenza, sì. Sono quelle portatrici di esperienza, di consigli, di informazioni. Sono le parole di chi ci è passato prima di noi e che ci guidano lungo una strada che ci fa paura soprattutto perché sconosciuta. E’ per questo che è nato il progetto ‘Time To tALK’ voluto dalle Associazioni Walce e IPOP, dalla Società Italiana di Medicina Narrativa (SIMeN) e reso possibile grazie al sostegno di Roche Italia. Una serie di appuntamenti nei Centri d’eccellenza italiani destinati ai pazienti con tumore al polmone con riarrangiamento di ALK. Un gruppo particolare di pazienti, una piccola percentuale nel pianeta ‘tumore al polmone’, ma che possono contare su terapie a bersaglio che hanno profondamente cambiato il concetto di sopravvivenza e qualità di vita. E così, saperne di più può fare la differenza.

Dopo Napoli e Oristano, ‘Time To tALK’ ha fatto tappa a Milano, all’Istituto Tumori, e ancora una volta il segno distintivo dell’evento è stato quello di ‘fare la differenza’ nella vita dei pazienti. Sì, perché la conoscenza, l’informazione e il confronto, lo abbiamo già detto, possono fare la differenza. Infatti, parte proprio dai pazienti con tumore al polmone con riarrangiamento di ALK il cambio di passo innovativo nel rapporto medico-paziente: non più solo ‘al centro della cura’ ma ‘protagonisti attivi nel processo decisionale terapeutico’. Una vera rivoluzione. Cambia il paradigma e le scelte diventano condivise. Questo tipo di tumore al polmone colpisce generalmente persone giovani e per questo più abituate ad informarsi, a cercare in rete, a voler conoscere e saperne di più. E così i pazienti stanno diventando sempre più ‘portatori di informazioni’. Grazie all’uso virtuoso della rete dove si possono reperire informazioni scientifiche, allo scambio di esperienze tra pazienti, e alla lungimiranza di oncologi che hanno ben chiaro come la rivoluzione portata dalle terapie non poteva fermarsi lì ma doveva necessariamente essere estesa a 360°, anche nei rapporti. Adesso l’occasione per fare rete, tra specialisti con diverse competenze ma anche tra pazienti e familiari che vivono la stessa realtà del tumore ALK + è diventata un’esperienza concreta grazie proprio al progetto ‘Time To tALK’.
«L’appuntamento Time To tALK di Milano segna un passaggio importante in questa nuova visione del ruolo attivo del paziente in oncologia e il programma è stato redatto da un’Associazione come IPOP che ha fatto dell’advocacy un suo punto di forza. La cultura della Patient Advocacy , in Italia, in oncologia sta nascendo ora ma è fondamentale – dice Marina Garassino, Responsabile della Struttura semplice di oncologia toracica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – oltre che innovativa. Non siamo più in presenza di pazienti ‘portatori di bisogni’ ma di protagonisti attivi nel percorso di cura. “Time To tALK” ha due punti di forza: da una parte l’apporto dato da tutti gli esperti nel fornire più informazioni possibili e in più ambiti possibili in modo da aiutare pazienti e caregivers ad affrontare la malattia e a conoscerla meglio; dall’altra quello decisamente innovativo della community di pazienti che diventano anche un’interfaccia per noi medici e possono essere di aiuto davanti ad una scelta terapeutica che diventa un percorso condiviso».

È una vera e propria rivoluzione, dunque, quella che si sta compiendo nel rapporto medico-paziente e che nel caso dei pazienti con tumore al polmone con riarrangiamento di ALK sta dando concretamente dei frutti. Ma perché il paziente possa essere davvero protagonista del suo percorso terapeutico è fondamentale la rete tra pazienti e con le Associazioni.
«Come Associazione IPOP crediamo fortemente nel progetto “Time To tALK” – dice Cinzia Borreri, uno dei soci fondatori di IPOP onlus e membro del Consiglio Direttivo– e in particolare abbiamo partecipato attivamente all’organizzazione dell’appuntamento di Milano dove abbiamo cercato di dare voce anche a tutte quelle figure che il paziente non incontra così spesso, come il nutrizionista, lo psiconcologo, l’esperto di attività fisica e riabilitazione perché abbiamo voluto dare un valore aggiunto concreto da affiancare alle terapie che il paziente segue. Avere a disposizione un team multidisciplinare è molto importante, direi un’opportunità unica così come lo è il confronto tra persone che vivono la stessa problematica. Perché se è vero che la medicina personalizzata fa sì che le terapie a volte possano prendere strade diverse tra di loro, il nostro vissuto è molto simile, ad iniziare dalla diagnosi che ti sconvolge la vita. Nell’ambito dell’incontro c’è qualcuno che è il passato di un paziente ma anche il futuro di qualcun altro, in termini di esperienza di cura, di farmaci che sta assumendo».
Incontrarsi, riconoscersi, confrontarsi. Senza maschere. Guardarsi negli occhi e raccontarsi. Non è un passo così facile da compiere. Eppure può fare la differenza. Lo sa bene Paolo, manager, padre, grande sportivo, un ciclista ‘da montagna’ con il sogno di scalare lo Stelvio. Fino a quando, due anni fa, la diagnosi di tumore al polmone lo ha costretto a “mettere il piede a terra”. Ma è stata questione di un attimo, perché Paolo in sella ci è risalito e, all’evento Time To tALK, racconta la sua storia.

«Non è facile parlarne, perché ammettere di essere malato è come ammettere di essere debole – racconta Paolo – e in una società dove bisogna ‘avere i muscoli e alzare la voce’ per essere ascoltati pensi di ottenere solo compassione. E così, ti nascondi. Ma è un errore e l’ho capito con il tempo. Questa malattia è in qualche modo ‘moderna’ perché grazie alle terapie innovative le debolezze fisiche sono più tollerabili del peso psicologico. E così, ti rendi conto che devi fare qualcosa e non puoi delegare tutto solo alla terapia. Io sono risalito in bicicletta, la mia grande passione. Ho sempre sognato di scalare lo Stelvio, un’impresa epica per ogni ciclista. Ma non l’avevo mai fatto. Poi ho deciso di affrontarlo durante la malattia perché ho voluto dire a me stesso ‘questa salita è tremenda ma tu ce la puoi fare anche così’. E ce l’ho fatta. Lo sport mi ha aiutato, nel fisico e nella mente. Certo, non dico che tutti debbano pedalare scalando lo Stelvio ma invito tutti a non mollare, a farsi aiutare dallo sport, a ‘riaccendere’ le passioni. E poi ad informarsi e parlare con il proprio medico di ciò che si è scoperto, di quello che altri pazienti nelle tue stesse condizioni ti hanno detto. L’innovazione delle terapie ci sta dando grandi risultati, altrettanti ce ne può dare l’innovazione nei rapporti. La vita non è solo dei sani. E ci devi fare i conti. Ma la salita non deve fare paura perché si può essere sereni e dare serenità».
L’attività fisica, lo sport, come parte integrante della terapia. Anzi, una terapia vera e propria. C’è già un’ampia letteratura in tal senso a proposito del tumore del seno ma adesso si sta studiando anche il beneficio dello sport sul tumore del polmone.
«È importante promuovere l’attività fisica nei pazienti che sono affetti da tumore – spiega Chiara Bennati, medico oncologo al Dipartimento di Oncoematologia dell’Ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna- anche in quelli che hanno una malattia metastatica. Ci sono dati che documentano come l’attività fisica sia una vera e propria terapia, in grado di favorire la migliore tollerabilità ai trattamenti e, quindi, ad avere meno effetti collaterali e ad evitare ricadute nei pazienti guariti. Lo sport non è solo un supporto psicologico. Nel caso dei pazienti con tumore al polmone con riarrangiamento di ALK visto che spesso si tratta di soggetti giovani bisogna aiutarli a riprendere l’attività fisica perché prima ritornano alla loro routine, meglio tollerano le terapie e acquisiscono una qualità di vita pari a quella pre-diagnosi. Ma chi prima non faceva sport deve capire che non è mai troppo tardi per iniziare: bastano 30 minuti di camminata a passo veloce ogni giorno per 5 giorni alla settimana».

Tante storie, tante vite, tante esperienze ed un fattore comune: quella mutazione genetica che rende questo tipo di tumore al polmone diverso da tutti gli altri. Perché oggi non ci si limita a fare una diagnosi di ‘tumore al polmone’ ma è possibile avere, grazie ai test molecolari, la ‘carta d’identità’ di quel tumore, conoscerlo nei dettagli e, scoprire se si tratta di una forma che presenta una particolare mutazione genica (come EGFR, ALK, ROS1) e, quindi, può essere trattata con farmaci altamente selettivi, ‘a bersaglio molecolare’. Nel caso del tumore al polmone con il riarrangiamento del gene ALK la terapia a bersaglio è una realtà concreta ed è quindi corretto fare tutto il possibile, in fase di diagnosi, per capire se è una strada da percorrere.
«Eventi come Time To tALK segnano un passaggio importante verso una comunicazione disegnata sul paziente – dice Silvia Novello, Professore ordinario Oncologia Medica, Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Oncologia, Responsabile SSD Oncologia Polmonare, AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano e Presidente WALCE onlus – e focalizzare l’attenzione su un determinato gruppo di pazienti, come in questo caso quelli con tumore al polmone con riarrangiamento di ALK significa venire incontro in modo migliore alle loro esigenze. Sono pazienti per i quali abbiamo a disposizione una terapia personalizzata in compresse che ci consente di migliorare le loro aspettative di vita sia in termini di tempo aggiunto sia anche di qualità di vita. Ma affinché ci sia davvero qualità di vita è necessario che ci sia una corretta informazione oltre che un adeguato supporto terapeutico».