Ospedali a misura di donna, per donne senza più confini
Sono tutte belle le mamme del mondo, cantavano i nostri nonni. Tutte belle, sicuro. Felici e spensierate un po’ meno. Se poi ti ritrovi a vivere la gravidanza in un Paese che non conosci, dove si parla una lingua che non capisci e non puoi contare su una rete affettiva ed economica di supporto allora altro che ‘una meravigliosa luce negli occhi’ piuttosto un grande macigno sul cuore. Le donne immigrate che partoriscono nel nostro Paese sono sempre di più. I dati parlano chiaro ma raccontano solo una parte della verità: il 20 per cento delle nascite che avvengono in Italia riguardano donne straniere e di queste 7 su 10 sono originarie di nazioni fuori dall’Unione Europea, sono mediamente più giovani delle ‘colleghe’ italiane e meno istruite. Di sicuro sono la punta di un iceberg. Il piccolo esercito che negli ospedali arriva e fa impennare gli indici demografici di una nazione dove le cicogne hanno smesso di fare il nido. E allora viene da pensare a tutte quelle donne che nelle strutture sanitarie nemmeno mettono piede. Anche se devono partorire. E nemmeno se, al contrario, quella gravidanza hanno deciso di interromperla.
Le interruzioni di gravidanza in Italia calano, il 20,9% riguarda donne italiane e il 38 % donne straniere. Le prime sono soprattutto nubili, le seconde sposate. La percentuali di aborti ripetuti riscontrata nel nostro Paese è la più bassa a livello internazionale. Ancora una volta sono soprattutto le donne straniere ad interrompere più volte una gravidanza nell’arco della vita. Donne che andrebbero assistite, educate, accompagnate verso una scelta contraccettiva che le aiuti a non dover ricorrere all’aborto come unica soluzione per il controllo delle nascite. «In Italia il 27% delle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) è effettuato da donne con precedente esperienza abortiva. La causa può essere ricondotta all’adozione di un metodo contraccettivo inappropriato o all’inadeguatezza del counselling ricevuto in occasione del precedente aborto, ma il dato è comunque allarmante- dice Vito Trojano, Presidente Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI) – Queste osservazioni hanno spinto AOGOI a dare vita a due indagini osservazionali che diano una fotografia di come gli ospedali italiani gestiscano le IVG e di come le donne percepiscano il percorso di counselling che viene loro proposto. Il nostro obiettivo finale è di creare nei centri che praticano la IVG un percorso a misura di donna, sensibilizzando gli operatori sull’importanza di garantire la dovuta attenzione alla contraccezione post-IVG offrendo alle donne un adeguato counselling dopo l’intervento».
Le donne immigrate e la maternità. Le donne immigrate e la scelta se diventare madri o interrompere la gravidanza. Non una semplice questione statistica da rapporto sulle nascite in Italia. Ma un problema urgente. Perché le donne rappresentano quasi la metà della popolazione migrante internazionale e in alcuni Paesi addirittura il 70-80 per cento (dati UNFPA). L’OMS stima che ci siano 73milioni di immigrati in Europa e di questi il 52% siano donne. Un dato destinato a crescere: l’UNFPA dice che solo in Turchia ci sono 500mila rifugiate siriane giovani e quindi in piena età riproduttiva e di queste quasi la metà aspetta un bambino.
Donne spesso sole. Una fascia di immigrazione particolarmente debole, a rischio. Quando arrivano nel Paese straniero per colpa del loro status di irregolari, per le condizioni di lavoro disumane in cui si trovano, per la completa emarginazione sociale in cui vengono relegate non accedono ai servizi di base come l’assistenza sanitaria. Ne avrebbero diritto ma non lo sanno. E il loro status di ‘ultime’, abituate ad esserlo, gli imprime addosso una paura che non gli fa neppure chiedere aiuto.