Nicoletta Luppi: “Non dimentichiamoci mai delle persone”
“La medicina è fatta per le Persone”. La voce di George Merck sembra risuonare per i corridoi in MSD. Impossibile non ascoltarla, perché la scritta con le sue parole fa capolino ovunque, da un quadro alle pareti, da un foglio attaccato su una scrivania, dalla copertina di una relazione. Come un coach che incita i suoi prima di una partita. E così non c’è da stupirsi se nell’ufficio di Nicoletta Luppi, Presidente e Amministratore Delegato di MSD, la voce di George Merck si sente ancora più forte “Non ti dimenticare mai che la medicina è fatta per le Persone. Non per i profitti”. «Ci tengo così tanto a questo insegnamento che ho voluto che fosse presente ovunque. Perché l’umanità è la chiave che apre tutte le porte. Solo se lavoriamo per le Persone, credendo nelle Persone e investendo nelle Persone potremo dirci soddisfatti. Come imprenditori, come genitori, come esseri umani”. Più che una lezione di marketing, una lezione di vita. D’altra parte non poteva che essere così, perché siamo qui per parlare del Progetto della Comunità di Sant’Egidio “Madri e figli rifugiati: dall’accoglienza all’inclusione” reso possibile grazie ad un’erogazione liberale di Merck & Co per conto della sua consociata italiana MSD. Un progetto che parla di vita, di futuro, di sogni. E lo fa concretamente. Perché le parole, senza i fatti sono solo buone intenzioni. Nicoletta Luppi lo sa bene: per raggiungere un obiettivo bisogna darsi da fare, impegnarsi, crederci, faticare, ma anche saper chiedere aiuto se serve e avere l’umiltà di imparare ciò che non si sa. E poi, se lo meriti, il risultato arriva. «Lo insegno ai miei figli, lo dico ai miei collaboratori, l’ho provato sulla mia pelle: bisogna guardare oltre le apparenze, oltre i pregiudizi, oltre i luoghi comuni e soffermarsi solo sul valore delle Persone. Partendo proprio dalle loro diversità, perché arricchiscono il nostro bagaglio» dice sorridendo.
Perché Merck & Co. – e quindi MSD Italia – ha deciso di appoggiare un progetto della Comunità di Sant’Egidio dedicato ad un tema di stringente attualità, ma apparentemente lontano dal mondo della farmaceutica?
I motivi sono tanti. Difficile metterli in fila uno per uno, perché non si può fare una graduatoria di importanza. Certamente ai primi posti metterei il ‘prenderci cura’ che è nel nostro DNA. E’ scritto nella nostra storia: 125 anni di Ricerca e 180 molecole ‘inventate’ non sono solo delle parole da appuntarsi sul petto come fossero medaglie. Sono traguardi che si raggiungono se si hanno dei valori e se si crede in quello che si fa. Come Azienda, non solo vogliamo fare la differenza nella vita delle persone con i nostri prodotti, ma anche giocare un ruolo attivo nella società ed essere al fianco delle Istituzioni in programmi a sostegno delle Persone. Abbiamo il privilegio – e la grande responsabilità – di portare la cura dove c’è la malattia, ma anche la prevenzione dove c’è ancora salute, pensiamo solo ai vaccini. Sappiamo cosa è la sofferenza, cosa è il dolore, cosa significa avere paura. Ce lo ha insegnato la malattia. Con questo progetto – e con tutti quelli che abbiamo fatto in campo sociale – noi vogliamo metterci al servizio della collettività proprio per dare sollievo a chi soffre. Ma la Ricerca ci ha insegnato anche un’altra cosa: la conoscenza è la chiave per trovare le soluzioni valide. E la Comunità di Sant’Egidio conosce i problemi dei migranti, sa dove e come intervenire. Ecco perché nel voler fare un passo avanti verso chi soffre ne abbiamo fatto, al contempo, uno di lato supportando la Comunità di Sant’Egidio e credendo nella sua azione, perché conosciamo la loro serietà e sappiamo che il nostro investimento è in buone mani.
Perché un progetto dedicato alle donne e ai figli?
Perché crediamo nelle donne. Perché le donne sono le fondamenta della Società e i figli il futuro. Perché crediamo nelle donne come volàno per il benessere e la salute di tutta la comunità. E questo indipendentemente dal Paese di nascita. Condivido pienamente quello che è solita dire il ministro della salute Beatrice Lorenzin: ‘prendersi cura di una donna equivale a prendersi cura di una intera famiglia’. Aiutare le donne a potersi davvero integrare è una sfida enorme che, a catena, porterà degli enormi benefici anche a livello di sanità pubblica: perché la salute materno-infantile è alla base. Ma se questo progetto è dedicato alle donne, altri in passato lo sono stati su altri fronti. E domani saremo pronti ad intervenire in aiuto di altre categorie di persone in difficoltà. A maggio, quando ho visto che tra le priorità del G7 di Taormina c’era anche la tutela delle donne e degli adolescenti, ho tirato un sospiro di sollievo: ecco finalmente qualcosa si muove, ho pensato. Poi ho visto che nell’elenco delle priorità non è proprio ai primi posti, ma va bene così, è un primo passo.
Parlare di migranti fa prestare il fianco a polemiche. Perché avete deciso di sposare questo progetto?
Perché è un progetto che aiuta le Persone. Il fatto che siano migranti, rifugiati, donne, sono solo tasselli in più. Perché chi non si rende conto di quanto drammatica sia la situazione, o finge, o vede il dito per non vedere la luna. I migranti non sono un problema o un fardello, possono essere un’opportunità per la Società. I migranti sono Persone e noi abbiamo il dovere morale di aiutarli quando sono in difficoltà. Senza essere assistenzialisti e buonisti ma, al contrario, con progetti di concreta integrazione e inclusione. Il Governo ha bisogno di alleati. I privati, quando possono, devono scendere in campo, con le proprie competenze e possibilità. La salute, in particolare, è un diritto sancito dalla Costituzione e bisogna fare tutto quanto è possibile in partnership tra pubblico e privato. Come Azienda farmaceutica abbiamo una responsabilità sociale e vogliamo essere parte della soluzione, anche perché il nostro lavoro ci fa conoscere alcune tematiche più direttamente e più in profondità e quindi possiamo, e dobbiamo, fare di più.
Nelle interviste le chiedono spesso del suo ‘essere donna’ a capo di un’Azienda. Un ruolo per niente scontato in Italia. Purtroppo la sua è ancora una situazione ‘che fa notizia’. Le cose stanno cambiando ma molto lentamente. Qual è la ‘ricetta’ che la Società dovrebbe adottare?
E’ molto semplice: credere nel capitale umano. Indipendentemente dal sesso. E’ il merito che deve essere premiato e, così facendo, abbiamo già un criterio su tutti per far emergere statisticamente anche le donne. Occorre credere che la diversità è arricchimento, che un coro a più voci è più armonioso, come una fotografia con molte sfumature. E’ un modello, una filosofia di vita: l’apertura verso chi la pensa diversamente da noi ,ma che può comunque dire la sua e farlo in modo significativo. Vale per le donne ma anche per i giovani o per le persone più anziane. In un team servono i punti di vista di tutti. Mi dispiace molto vedere che in Italia il tasso di occupazione femminile si attesti ancora 12 punti sotto la media europea e che, purtroppo, solo una donna su due ha un lavoro. Per questo sono orgogliosa che il 40 per cento dei miei diretti riporti in MSD sia composto da donne e che il 32 per cento delle donne in MSD ricopra una posizione manageriale. Un traguardo straordinario se si compara con il 6,9 per cento della media nazionale. E’ evidente che per far sì che tutto questo funzioni, senza che le donne (e non solo) siano costrette a pagare un prezzo personale troppo alto di rinuncia alla famiglia, è stato necessario istituire anche strumenti e politiche a supporto del lavoro flessibile. Il risultato è anche il bene dell’Azienda, perché se si lavora meglio anche i profitti ne saranno favorevolmente influenzati. Vorrei che questo modello dell’apertura alla coralità di voci fosse un modello sociale, perché allora l’accoglienza e l’inclusione in generale sarebbero davvero culturalmente più facili.
C’è una qualità delle donne che secondo lei fa la differenza?
L’empatia, il volersi prendere cura, una visione che il più delle volte è ampia perché accogliente e conciliante. Non significa che non possiamo avere il pugno di ferro se necessario, ma la visione d’insieme, che ci porta ad un processo decisionale, fa la differenza. E’ nel nostro DNA quello di dover guardare tutto e rispondere ai bisogni di chi dipende da noi. E’ il nostro ‘diverso’ modo di guardare le cose. Alle ragazze che vogliono ‘fare carriera’, consiglio sempre di non rinunciare alla loro femminilità, al loro essere se stesse. Non c’è uno stereotipo da rispettare ma, al contrario, dobbiamo avere rispetto della nostra unicità che altro non è che il rispetto delle Persone.
Il rispetto delle persone è alla base di questo progetto della Comunità di Sant’Egidio. Saranno aiutate 400 donne. Se potessimo darci appuntamento qui tra un anno per fare un bilancio, quale sarebbe il suo sogno?
Vorrei che ci trovassimo a parlare non di 400 ma di quattromila donne aiutate. E non dal progetto ma dal volàno del passaparola. Il mio sogno è che aiutando queste 400 donne, in 400 modi differenti perché hanno storie e vite differenti, le metteremo in condizioni di aiutare loro stesse e altre 400 donne e quindi le loro famiglie e poi altre 400 e così via. Quando arrivano in Italia, nei loro occhi si legge la paura, il dolore, la fuga. Ma anche coraggio e speranza. Vengono con un sogno e se le aiutiamo ad avere gli strumenti per realizzarlo, poi loro potranno aiutare altre donne. Parlo di gesti, di aiuti concreti. Possiamo fare molto per queste madri e i loro figli, ma possiamo imparare altrettanto: in primis la lezione del coraggio, dei valori fondamentali della vita, del restare con i piedi per terra. E’ una lezione di umiltà ma anche di ‘imprenditorialità’: pronte a mettersi in discussione, a studiare e ad imparare, queste donne sanno che il futuro si conquista con lavoro, con dedizione e impegno. Questa è una lezione che troppe volte si tende a dimenticare.
Una lunga intervista dove le parole sogno, futuro, speranza si sono più volte rincorse. Non posso, quindi, non chiederle qual è il suo sogno nel cassetto ancora da realizzare.
Nulla di concreto da conquistare o acquistare. Desidero che la serenità e l’equilibrio facciano parte della mia vita e di quella dei miei figli e dei miei cari. E della vita di tutte le famiglie. Indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione, dall’estrazione sociale o il Paese di nascita. Serenità ed equilibrio per il futuro dei nostri ragazzi. E’ per loro che dobbiamo lavorare, che dobbiamo fare in modo che parole come accoglienza, integrazione, pace sociale non restino lettere vuote. Come madre e come manager guardo al futuro. E so che è oggi, con le azioni nel presente, che me ne prendo cura.
L’intervista finisce. Nell’aria si sente il profumo ‘di buono’ di un progetto che aiuterà, concretamente, tante persone. Non ci sono dubbi, George Merck sta sorridendo.