L’Italia dei trapianti, tra eccellenze e criticità
In Italia il numero dei trapianti d’organo è pressoché costante da 10 anni. Nel 2015 (dati definitivi al 31 dicembre) sono stati 3326, in leggero aumento rispetto all’anno precedente (3250). Ci sono stati 1881 trapianti di rene (in tutte le combinazioni) dei quali 1580 da donatore deceduto e 301 da vivente; 1094 trapianti di fegato (in tutte le combinazioni) dei quali 1071 da donatore deceduto e 23 da vivente; 246 trapianti di cuore; 112 trapianti di polmone (in tutte le combinazioni); 50 trapianti di pancreas (in tutte le combinazioni) e un trapianto d’intestino. Un’attività intensa, lungo tutta la Penisola, dal Veneto alla Sicilia. L’Italia può dunque considerarsi soddisfatta? «Per la qualità dei Centri e per la qualità dei trapianti (misurabile in termini di risultati, sopravvivenza dei pazienti e qualità di vita post intervento) sicuramente sì – spiega Franco Citterio, presidente SITO attualmente in carica fino alla fine dell’anno e Presidente della Fondazione Italiana per la Promozione Trapianti d’Organo FIPTO – ma sono ancora troppo pochi. Manca ancora una vera cultura della donazione nel nostro Paese. E se qualcosa si è fatto in questi anni in termini di donazione da donatore deceduto ancora moltissimo si deve fare per la donazione da vivente che incontra moltissime resistenze. Basti guardare il divario numerico nel 2015 che c’è nel trapianto di rene da donatore vivente tra Italia (301) e quelli (1075) eseguiti in UK, paese dello stesso numero di abitanti dell’Italia».
Un ritratto, dunque, con luci ed ombre. L’Italia dei trapianti se da una parte esce vincitrice dal confronto internazionale (pensiamo solo che nel trapianto di fegato la sopravvivenza media è di 5-10 punti superiore alle media europee), diventando addirittura un modello da esportare per le regole di controllo e di allocazione, dall’altra dimostra che c’è davvero molto da fare. Dalla nostra abbiamo, i professionisti, e la rete organizzativa. A remare contro una cultura della donazione praticamente sopita e un gap nei donatori a cuore fermo che deve essere colmato, visto che stiamo partendo solo ora (6 donazioni eseguite con questa modalità e 12 trapianti eseguiti nel 2015) mentre in alcuni Paesi è routine da anni e abbiamo una legge sulla donazione a cuore fermo che andrebbe rivista.
Nel mondo lo scorso anno gli organi trapiantati sono stati 119.873, di questi 79.948 di rene; 26.151 di fegato; 6542 di cuore; 4689 di polmone; 2328 di pancreas e 215 di intestino. Tanti ma non abbastanza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’ONT concordano nel dire che queste cifre rappresentino solo il 10 per cento della necessità mondiale dei trapianti. E l’Italia? E’ 19esima con 55,6 malati trapiantati per milione di persone, tra i Paesi europei più importanti sta più giù in classifica solo la Germania con un tasso di 45,5 pmp. Lontanissime, in cima alla classifica la Spagna (100,7, guida la graduatoria da 24 anni) e gli Stati Uniti (92,8).
«Dal punto di vista scientifico ed organizzativo l’Italia non ha nulla da invidiare, anzi ha molto da insegnare a tanti Paesi nel mondo – dice Umberto Cillo, presidente eletto SITO in carica da gennaio 2017 – però ci sono dei gap che dobbiamo colmare rapidamente. Prendiamo proprio i trapianti da donatore a cuore fermo: nel nostro Paese stiamo iniziando adesso. In Olanda e in altre nazioni si fanno da anni. Fino ad oggi in Italia si è pensato che quel limite di 20 minuti fissato dal legislatore rappresentasse un punto di non ritorno che rendeva gli organi inutilizzabili. Oggi abbiamo capito che possiamo rigenerare gli organi e possiamo anche gestire diversamente il potenziale donatore grazie alla circolazione extracorporea. Una soluzione messa in atto in sala operatoria nell’attesa – speriamo non infinita – che il legislatore si renda conto che le cose vanno riviste alla luce dell’esperienza internazionale».
Quella del donatore a cuore fermo è una nuova via d’intervento che tuttavia si scontra con una legislazione italiana ipergarantista. Oggi, infatti, l’accertamento della morte con criteri cardiaci prevede che, prima di poter dichiarare il decesso e quindi prelevare gli organi, per almeno 20 minuti non ci sia attività cardiaca e circolo in modo da avere la certezza che si sia verificata la perdita irreversibile di tutte le funzioni cerebrali. Minuti preziosi che minano profondamente la salute degli organi destinati ai trapianti. Un periodo lunghissimo se si confronta con gli altri Paesi dell’Unione Europea dove si attendono tra i 5 e i 10 minuti. Ciò che in Europa è dunque una realtà, nel 2014 sono stati effettuati oltre 2000 trapianti da donatori a cuore fermo, in Italia è ai primi passi.
« Siamo tra le eccellenze europee – aggiunge Umberto Cillo – e dobbiamo esserne fieri. Oggi non si fanno più viaggi della speranza in Francia per un trapianto, i nostri bambini non vanno più a Pittsburgh. Solo 20 anni fa tutto questo sarebbe sembrato un sogno. Oggi, al contrario, ci sono pazienti dall’Est Europa che arrivano in Italia in cerca di una soluzione. A livello internazionale siamo tra i pochi a offrire la massima trasparenza pubblicando sul sito del Ministero i risultati qualitativi dei trapianti, in modo che sia chiaro ed accessibile ad ogni paziente. Se fosse così per ogni patologia, per ogni specializzazione, per ogni intervento i pazienti saprebbero chi fa cosa e con quali risultati. Ma la parola d’ordine vincente nei trapianti in Italia è collaborazione. È grazie alla rete tra professionisti che le cose funzionano. Pensiamo al trapianto di fegato. La SITO ha previsto una regola interna alla quale hanno aderito tutti gli specialisti secondo la quale in presenza di un donatore sotto i 50 anni di età e con particolari condizioni si esegua sempre la tecnica del fegato split cioè della divisione del fegato del donatore in due parti, e che la parte ‘piccola’ sia di default destinata ai trapianti pediatrici. Questo ha fatto sì che in Italia in 6 mesi siano raddoppiati i trapianti “SPLIT”(25% del totale dei trapianti). In nessun altro paese del mondo si raggiungono percentuali cosi alte. Un modello di cooperazione reso possibile grazie alla fiducia tra professionisti in rete che va a tutto vantaggio del numero dei trapianti eseguiti e dei pazienti».