Informare. Non c’è altra via. Dietro ogni numero, una persona

Il Nadir in astronomia è il punto opposto allo Zenit. Il sud relativo. L’altro punto di vista. In medicina, Nadir è il termine usato per indicare i livelli minimi di conta delle cellule del sangue per un dato paziente in un determinato periodo di tempo. Parlando di Hiv Nadir è un’Associazione di pazienti nata molti anni fa, era il 1998, con lo scopo di promuovere un nuovo ruolo per le persone sieropositive, che diventano uno dei tre elementi del triangolo medico-farmaco-paziente. E un po’ è la sintesi dei due significati. Perché le persone portatrici di HIV che da anni convivono con il virus rappresentano davvero un po’ il ‘sud’ della malattia, l’altro punto di vista, l’altra faccia della medaglia. Si chiude con Nadir il nostro viaggio per rompere il silenzio che attanaglia l’Hiv nei 364 giorni che seguono la giornata mondiale dell’Aids del 1 dicembre. E lo facciamo insieme al presidente Filippo Schloesser.
Nadir è ‘sul campo’ dal 1998. Erano gli anni in cui un po’ di Hiv ancora si parlava nel nostro Paese. Eppure non sembra che sia cambiato molto.

E’ vero nulla è cambiato. Eppure tutto è cambiato. Ma nessuno vuole accorgersene. Gli anni 80-90 sono stati quelli in cui le campagne venivano fatte anche se non sono passate alla storia– e soprattutto nelle coscienze – per la loro efficacia. Erano poco comunicative o spaventavano. Comunque non hanno lasciato il segno. E ce ne rendiamo conto anche oggi leggendo i dati dei nuovi contagi.
Partiamo dalle cifre. Non accennano a diminuire i contagi. Non aumentano le morti, è vero. Ma è come gioire per il bicchiere mezzo pieno.
Bisogna accendere i riflettori sul fatto che in Italia non calano le nuove infezioni. In Svizzera siamo a-17%, in Germania a -23%. Eppure anche loro non fanno campagne di prevenzione, di informazione e comunicazione. Ma da loro la profilassi farmacologica, la PrEP è una realtà concreta, della quale si parla e che dopo vari anni sta iniziando a dare i suoi risultati. Da noi il silenzio totale. Stiamo aspettando che le cifre del COA del 1 dicembre tornino ad essere un bollettino di guerra?
I cinquantenni di oggi si ricordano la campagna dell’alone rosa ‘Aids,se lo conosci lo eviti’. Non è servita a molto, forse addirittura ha fatto crescere il disagio nei sieropositivi, ma almeno del virus si parlava. Un ventenne di oggi non ha coscienza di una campagna di informazione, perché le poche che ci sono state non sembrano aver parlato il giusto linguaggio. Questo significa che il futuro è a tinte scure?
Sì. E’ un rischio concreto. Se non adottiamo subito campagne di informazione efficaci, e sottolineo efficaci, e non diffondiamo la conoscenza, allora il rischio che il contagio cresca c’è. Quando c’è una corretta informazione allora c’è consapevolezza. Certo se poi dobbiamo fare i conti con gli investimenti in salute, allora la partita sembra già persa.
Anche l’Hiv fa i conti con i conti del nostro Sistema Sanitario Nazionale?
Ovviamente. Anzi è una delle cenerentole. D’altra parte se a fronte della richiesta di salute da parte dei cittadini – indipendentemente dalle patologie – che aumenta del 6% all’anno e il budget della sanità resta invariato, è evidente che non si potrà fare fronte a tutte le necessità. E a pagarne il prezzo sono spesso le comunità più vulnerabili, come quelle a maggior rischio di contarrre l’Hiv e cioè maschi che fanno sesso con maschi, eterosessuali promiscui e tossicodipendenti che fanno uso di siringhe. Le persone più vulnerabili sono quelle che hanno minor accesso all’informazione.
Come Nadir siete molto al fianco dei sieropositivi. E lo siete da molti anni. Quali cambiamenti ha visto in questo tempo nella Società? E’ cambiato lo stigma?

No, non è cambiato rispetto a 30anni fa. Però è cambiato il passo successivo allo stigma. Nel senso che chi ti sta intorno oggi supera quella paura iniziale. E’ la paura la prima responsabile della disinformazione. Perché quando c’è l’affetto –che sia in un rapporto sentimentale o di amicizia – verso una persona sieropositiva, chi gli è vicino si informa e trova una strada per non lasciarlo solo. Vince con l’informazione la paura. E il rapporto non si interrompe. D’altra parte mi piace sempre ricordare una frase di Einstein che diceva: ‘E’ più facile rompere l’atomo che abbattere un pregiudizio’.
Invecchiare da sieropositivi non solo è possibile ma è una realtà concreta. Eppure nel nostro Paese se ne parla poco.
Si è dimostrato che le persone in terapia, con una carica virale durevolmente al di sotto della soglia di rilevabilità non trasmettono più l’HIV per viasessuale. E’ “undetectable” ovvero ‘non contagioso’. Undetectable significa chela carica virale è al disotto della soglia di rilevabilità: Undetectable =Untransmittable. Ma di questo non si parla. Così come non si parla dei sieropositivi dai capelli bianchi che fanno i conti con gli acciacchi dell’età come tutti gli altri. Le terapie non provocano particolari effetti collaterali oggi ma l’età che avanza comporta una serie di problematiche come per tutti gli over. Certo poi ci sono quelli che scoprono di avere contratto il virus dopo i 40 anni e fanno il test tardi, troppo tardi. Quella è un’altra storia.
Perché?

Le statistiche ci dicono che una percentuale troppo elevata di persone fanno il test quando la situazione è già compromessa. Quando si sono innescati dei danni che se anche non provocano problemi nell’immediato poi si presenteranno più avanti, nella terza età. E’ anche questo un problema con il quale il nostro paese comincia a dover fare i conti.
1998- 2018: vent’anni di Nadir. Un bilancio.

Abbiamo dato decine di migliaia di consigli. Abbiamo informato, informato, informato. E lo abbiamo fatto da pari, da pazienti che guardano negli occhi altri pazienti, tra persone. E per questo la nostra esperienza ha avuto un sapore di concretezza e mai di giudizio. Abbiamo capito che quando le paure, i dubbi, le angosce vengono dette a voce alta è il primo passo per superarle. Ma a distanza di vent’anni c’è un interrogativo che mi pongo: ‘ Perché Nadir ha ancora ragione d’esistere?’. Mi piacerebbe che le cose stessero diversamente per i sieropositivi. E, invece, dopo vent’anni eccoci ancora in prima linea.
Abbiamo compiuto un viaggio nel mondo dell’Hiv lontani dai riflettori del 1 dicembre. Adesso, a luci spente, cosa le piacerebbe che venisse fatto. Magari nel silenzio ma un silenzio‘costruttivo’.
Che non si perdesse più tempo. E’ arrivato il momento di prendere consapevolezza che il problema c’è. Altrimenti quelle cifre che il Ministero e l’Istituto Superiore di Sanità pubblicano il primo dicembre restano solo sterili numeri, un’indagine epidemiologica. Invece sono persone. Sono un virus che continua a dilagare anche nel nostro Paese. Non sono numeri. Sono vite e storie.

(Foto: Pixabay)