Francesca che si è messa gli occhiali da sole e ha deciso di vivere l’attimo. Francesca e la sua lettera alla vita
di Claudia Maria Ragno
Francesca e i suoi stravaganti occhiali da sole. Francesca e le sue scarpe eccessive. Francesca e la sua voglia di bere la vita a grandi sorsi. Francesca che ha deciso di vivere l’attimo. Francesca che ce l’ha fatta e adesso scrive a chi è ancora nel tunnel. Dopo la storia di Anna, ci ha scritto Francesca. Perché le donne sono generose. Non si tirano indietro quando bisogna mettersi in gioco. Perché non è vero che non siamo solidali. Perché una cosa è il commento su un taglio di capelli, altra un abbraccio tra ‘sorelle di disavventura’. Questa è la lettera di Francesca. Non solo a noi ma a tutte le donne che hanno appena scoperto di avere un cancro e a quelle che credono che la luce in fondo al tunnel sia spenta. E’ anche la lettera di Francesca a se stessa. E’ la lettera di Francesca al mondo. Fatto di sfumature. Perché non esiste un modo giusto e uno sbagliato per affrontare una diagnosi di cancro. Esiste il modo di Anna, di Francesca, di Carla, di Lucia. E i nomi potrebbero essere all’infinito. Tanti quante sono le donne. Vorremmo che ognuna di loro si sentisse meno sola, meno strana, meno fuori luogo. Se avete voglia di raccontare le vostre storie le aspettiamo. Perché noi abbiamo molta voglia di ascoltarle. Si parte con Francesca e la sua vita con un tocco di rosa con la quale vederla.
«La cosa che più mi piace di te sono le tue idee eccessive». E’ iniziato tutto così, un pomeriggio di settembre, quando dopo aver fatto l’amore ho chiesto a mio marito se il bozzo che avevo al seno potesse essere un tumore. Lo era. Di 8 centimetri.
Ogni storia si conclude in un modo tutto suo, ma per tutte inizia allo stesso modo: lacrime e terrore. Poi entri in un vortice in cui diventi una pedina tra le mani di un medico bravo, un infermiere cattivo, un amico fedele e quello che ti volta la faccia. Ti concentri su te stessa e sui tuoi figli, se li hai. Piangi sulla spalla di tua sorella, orripili davanti ad un seno che non è più motivo di orgoglio e di sguardi ammirati, ti avvilisci per il braccio gonfio e le cure che ti ingrassano, ti vergogni se il tuo uomo vuole amarti, pensi al viso che avrebbe potuto avere il bambino che non avrai mai più.
Ma mentre piangi, orripili, ti avvilisci, ti vergogni e pensi, la vita va avanti. Perché per ognuna la storia inizia con la paura e finisce a modo suo, ma tutto quello che riempie il frattempo è vita da vivere come vuoi solo tu. Io ho vissuto di eccessi. Di ingordigia senza fine, di risa, di viaggi, di shopping, di bevute. Avevo letto di una donna che ad ogni controllo si comperava un paio di scarpe nuove e l’ho copiata. Non potevo dare più senso alla parola progetto e, allora, l’ho data all’istante presente. Non potevo più vantarmi del mio corpo e, allora, puntavo sulla mia intelligenza.Sfoggiare degli occhiali da sole vistosi mi aiutava a nascondere le lacrime al resto del mondo. Ho comperato tanti occhiali perché ho pianto tanto. Non mi sentivo capita da nessuno, mi sono aggregata ad un gruppo di persone col cancro. Mi sono sentita brutta, ho cambiato cento volte i capelli. La mia vita era uno schifo, ho fatto della mia coppia un capolavoro meraviglioso.
Non volevo compassione, me l’hanno data comunque. Non volevo essere consolata perché la sola consolazione te la dà un referto positivo. Quella è la sola risposta a tutto, più te stessa ovviamente. Tu sarai la più forte, la più spietata, la più ottimista e la più paurosa. Tu sarai la migliore amica di te stessa e la tua versione migliore. Un esemplare unico di cui ignoravi l’esistenza.
La gente giudicherà se tu reagisci bene o male. Come fa una persona sana a capire cosa si prova ad essere malati? Li ho lasciati parlare. Non sono stata brava, è solo che le risposte venivano da sé, in una trasformazione continua che ruotava tutta intorno alla parola tumore e ai suoi effetti. Appena incontravo qualcuno gli parlavo del tumore come se fosse un membro nuovo della mia famiglia. Un essere che scandiva le giornate per anni. Poi, un giorno, ti renderai conto all’improvviso che hai dimenticato di celebrare la data della prima operazione. Sul calendario non è più un anniversario da ricordare, ma un giorno come gli altri. A quel punto realizzi che il processo di guarigione è cominciato. Quella fisica precede la guarigione mentale. Le cicatrici restano per tutta l’esistenza, ma di certo arriva un punto in cui racconti dimenticando le sfumature della tempesta che hai vissuto. Sai solo che hai sofferto come non mai, sai di che colore sono le scarpe che hai comperato dopo ogni controllo, ma l’essenza di ciò che hai attraversato non l’afferri più. Proprio come non afferri oggi il volto di tuo figlio dieci anni fa.
Ti sentirai vuota e piena mille volte, coraggiosa e fragile altrettante. Sarai tu e sarai molte altre donne in ogni momento, ti chiederai perché a te e quale sarà il tuo futuro. Sappi che sarai “normale” in ognuno di questi attimi, sarai semplicemente una te stessa nuova con cui dovrai familiarizzare. Ti sembrerà faticoso e lo sarà, ma perdonati ogni giorno.
Mi chiamo Francesca, avevo 39 anni il 22 novembre del 2007. Oggi ne ho 50, ho avuto diagnosi sbagliate e poi un uomo meraviglioso che mi ha restituito la vita. Perché io non sono una sopravvissuta, ma una donna che è nata due volte.Francesca