Anestesia, quel volo che mette tanta paura

Anestesia generale, il sonno profondo che mette tanta paura a tutti. Da una parte viene vista come un’alleata, in grado di non farci sentire dolore e vivere lo stress di un intervento dall’altra, a volte, spaventa addirittura di più dell’intervento stesso. Avere paura è normale, soprattutto di ciò che non si conosce… ma è irrazionale e va controllato. L’anestesia moderna viene definita una branca della medicina delle più sicure. Ma chi è un ”Anestesista Rianimatore”? Ne parliamo con la professoressa Flavia Petrini, presidente della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) e Direttore dell’Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva dell’Ospedale SS.Annunziata di Chieti, Coordinatore della struttura di “Medicina Perioperatoria, Terapia del Dolore, Emergenza Intraospedaliera e Terapia Intensiva” della ASL 2 Abruzzese.
Perché l’anestesia generale fa così tanta paura?
Spaventa perché è misteriosa, toglie la coscienza e annulla il controllo del proprio corpo e delle sue reazioni, annullando la possibilità di decidere momento per momento, anche in riferimento a quello che sta accadendo durante una procedura invasiva, chirurgica o no, durante la quale le possibilità di esito non sono certe. Si lascia, quindi, la propria vita e il consenso ad agire in mano a qualcun altro. E’ anche vera la grande contraddizione che spesso il paziente ammette: l’anestesia generale potrà anche spaventare, ma spesso la paura del dolore lo fa di più, tanto che molti soggetti chiedono di ricorrere all’anestesia generale anche quando potrebbero farne a meno, senza voler ascoltare lo specialista che vorrebbe (è tenuto a farlo!) esporre rischi e benefici delle varie tecniche. Quindi, si ha paura dell’anestesia generale, ma al tempo stesso la paura del dolore spinge a un rapporto superficiale con la materia. Si stupirebbe se le dicessi che molti non sanno che per praticare l’anestesiologia ci si deve laureare in medicina e chirurgia e poi specializzare con altri 5 anni di studi?
In effetti l’anestesia è spesso paragonata ad un viaggio in aereo: decollo, ore di volo e atterraggio affidati ad un pilota che si pretenderebbe esperto, perché ha in mano la tua vita e tu, passeggero, ti affidi, senza poter decidere nulla e senza poter scendere; ma si considera che l’aereo sia il mezzo di trasporto più sicuro. E’ così anche l’anestesia?

Sì, l’analogia è corretta perché come per l’aeronautica possiamo dire che in anestesiologia siano stati adottati stratagemmi per aumentare la sicurezza simili a quelli usati dai team di volo, per organizzare in pochi minuti la reazione alla crisi. Però deve essere chiaro che ogni paziente ha problemi e reazioni diverse, di cui deve ricevere inquadramento preoperatorio e informazioni sulle opzioni, acquisendo consapevolezza delle opzioni, per scegliere a chi affidarsi. Che i pazienti conoscano le caratteristiche di sicurezza e i risultati di quel centro è un diritto, che pochi esercitano.
Continuiamo con il paragone. Decollo e atterraggio in volo come in sala operatoria restano i momenti più delicati? Perché in genere sono quelli che spaventano di più, soprattutto il risveglio.
Sono in effetti i momenti più delicati ma l’attenzione è alta in tutte le fasi del viaggio e il paziente è sempre tenuto sotto stretto controllo. La fase del risveglio è un momento delicato e spesso sottovalutato e il monitoraggio post sedazione o anestesia, richiede più controlli ed una organizzazione che può fare la differenza sul risultato della cura. I pazienti scelgono il chirurgo e non sanno quanto la medicina perioperatoria (cure pre e post, oltre che anestesia) sia importante.
Come si garantisce lo standard di qualità di queste cure?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il nostro Ministero della Salute hanno definito da anni ‘Manuali di sicurezza’, con le check list di sala operatoria, proprio per ridurre la possibilità di errore umano, ma anche aumentare il coordinamento nelle varie fasi. L’anestesista-rianimatore e il team medico-infermieristico studiano il caso specifico e insieme prevedono i possibili rischi, definendo quale può essere la tecnica più indicata, al di là delle possibili complicanze prevedibili ecc. La preparazione è fondamentale, come decidere il livello di assistenza nel postoperatorio. Si ‘pianifica il volo’ per renderlo più sicuro possibile, premunendosi di cosa può essere necessario: in altre parole, si studia il singolo paziente e su misura per lui si disegna la strategia perioperatoria, non solo il tipo di anestesia. E’ un sistema complesso sul quale interagiscono molte figure professionali, che fanno i conti anche con la struttura e la rete organizzativa. Ma è anche impossibile prevedere e prevenire tutto: in medicina il rischio zero non esiste e tutta la nostra attenzione è rivolta a gestire al meglio. Per questo oggi non parliamo più di ‘anestesia’ ma di ‘medicina perioperatoria’, a sottolineare la complessità e la molteplicità di voci e figure coinvolte. Parliamo di percorsi diagnostici terapeutici nei quali lo specialista in “anestesia-rianimazione-terapia intensiva e del dolore” è chiamato ad intervenire per decidere cosa sia meglio fare: il ‘percorso’ nel suo insieme è importante, al di là della bravura del singolo operatore, ed i cittadini non sempre si rendono conto quanto sia fondamentale la struttura ed il volume delle attività che tratta. Continuando con il paragone del volo aereo: chi affiderebbe la propria vita ad una piccola compagnia aerea che non ha controllori di volo che seguono tutto il viaggio, o piloti con esperienza adeguata e la strumentazione a bordo più che affidabile? Eppure quando si sceglie dove farsi praticare un intervento (o dove partorire!) non si pone la stessa attenzione.
Ma un cittadino, un paziente come può scegliere? Come può stabilire se l’anestesista è un abile pilota?
Un cittadino oggi ha molti mezzi per capire, per sapere quante e quali prestazioni vengono effettuate… il sistema offre tutte le possibilità per assicurare adeguato controllo per tutto il percorso, e il paziente deve anche pretendere dal Medico di Medicina Generale o dal Pediatra di Libera Scelta l’attenzione e l’informazione, soprattutto su alcune procedure a maggiore rischio. Il Ministero produce ogni anno, ad esempio, il Piano Nazionale Esiti con la lista dei risultati dei Centri per procedure che devono raggiungono certi numeri per garantire uno standard adeguato di competenze di un’équipe chirurgica ed anestesiologica. L’esperienza clinica è importante e porta ad alzare le conoscenze. Se il cittadino avesse la coscienza che quello chirurgico è un team esperto per quel tipo di procedure, potrebbe essere ragionevolmente sicuro che anche il team anestesiologico è esperto in quella procedura, che i servizi necessari sono adeguati: per esempio la struttura di degenza postoperatoria, anche intensiva se necessaria.
Lei spesso parla di team, sia riferito alla chirurgia che all’anestesia. E’ un gioco di squadra?
Certamente. Fermo restando che il paziente immagina di affidarsi a un chirurgo che lo operi e un anestesista che gestisce l’anestesia del suo caso, la sicurezza è in realtà affidata ad un team che garantisce la continuità in tutto il percorso, dalla visita alla gestione in sala operatoria, all’area di recupero dall’anestesia, e poi durante la degenza post-oparatoria. Più alto è il rischio, maggiore è l’importanza che il percorso sia organizzato: pensiamo ad esempio ad un lungo e complesso intervento chirurgico che magari prevede un ricovero in Terapia Intensiva. Non solo in Sala Operatoria l’équipe è composta da più professionisti, specialisti che si danno il cambio con un passaggio di consegne fra chi ha valutato il caso, chi continua l’anestesia ed il risveglio, chi gestisce il dolore e chi presta cure intensive, chi risponde in emergenza qualora accada un imprevisto. Tutti queste risposte sono garantite 24 ore su 24 dagli specialisti di Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e del Dolore che operano in team con i Chirurghi e gli Infermieri e che hanno maggiori competenze in queste aree della medicina. Ci sono poi tipologie di pazienti che richiedono cure ultraspecialistiche come per esempio l’anestesia pediatrica, quella ostetrica con l’analgesia del parto, alcune branche chirurgiche (es. cardio e neuro. anestesia-rianimazione…) che richiedono di concentrare i casi in alcuni punti- ospedali per superare il numero minimo necessario a mantenere le competenze del team. I Punti Nascita sono il classico esempio.
Quella dell’anestesia e analgesia durante il parto infatti è spesso una nota dolente. Le donne la desiderano, non sempre la ottengono. E anche in questo caso la paura domina tutto.
Il discorso torna sempre all’organizzazione e agli standard di qualità. Una donna quando sceglie una struttura dove partorire lo deve fare con consapevolezza, ma ha nove mesi per informarsi. Scegliere un ospedale dove ogni anno ci sono pochi nati significa andare contro il proprio interesse. Perché presumibilmente quella struttura non può mantenere le competenze necessarie a tutela della sicurezza di mamma e nascituro: ed in caso di emergenza, ci si chiede cosa fa la differenza? E’ un approccio socio-culturale, che dobbiamo imparare a leggere, un cambio di mentalità dei cittadini ed un dovere per i sanitari che devono informare sulle alternative offerte.
E’ una vera rivoluzione culturale anche per il cittadino: passare da essere completamente passivi ad avere un ruolo attivo e propositivo.
Ci piacerebbe che ci fosse più consapevolezza sui diritti ma anche sui doveri dei cittadini – che ancora prima di essere pazienti sono contribuenti per il sistema pubblico che garantisce le cure – che dovrebbero essere fieri del nostro Sistema Sanitario, che al di là delle eccellenze offre un buon modello di accessibilità e deve essere supportato e difeso. I cittadini non devono chiudere gli occhi davanti alle evidenze scientifiche, affidandosi poi al “dottor google”, come dovrebbero interrogarsi quando viene proposta la chiusura dei piccoli ospedali di paese quante procedure o competenze specialistiche potrebbero mai offrire loro, seppur sotto casa. In ballo non ci sono solo fattori economici, ma aspetti che riguardano la sostenibilità di modelli di sicurezza clinica. Pubblico non deve essere sinonimo di scarsa qualità, anzi! Non produciamo bulloni ma procedure ad elevato rischio e chiedere “come mi curerete” è un diritto.
La visita anestesiologica è un momento fondamentale per fare domande. Troppe volte, però viene considerata come un semplice passaggio burocratico, anche dai pazienti e dai familiari.
Quando si valuta un caso inviato in Ambulatorio Anestesiologico dal medico che chiede assistenza (ad un intervento, per una procedura invasiva o che per un soggetto a rischio e che va assistito da parte di un anestesista rianimatore), ci si pone l’obiettivo di scegliere la tecnica adeguata ma soprattutto di come contenere e possibilmente ridurre il rischio di complicanze. Per questo la visita va pianificata con un certo anticipo, qualche giorno prima di quello che accade di solito consentirebbe di preparare al meglio il paziente. Ad esempio si può abbassare il rischio di trombosi venosa e di embolia con una profilassi, prevenire le complicanze respiratorie o cardiocircolatorie migliorando la preparazione, ecc. Oggi si parla di pre-abilitazione, in altre parole studiando il caso, anche discutendolo in equipe (come accade per le malattie neoplastiche) si stabilisce una strategia ‘su misura’ per lui ed un percorso. Il “volo” dell’anestesia non inizia e finisce in sala operatoria!
Quali sono le paure o le domande che più frequentemente vengono poste dai pazienti e dai familiari?

Direi che si possono riconoscere due categorie di soggetti: quelli che vorrebbero sapere tutto, nei dettagli e per i quali è anche difficile fornire risposte esaustive, perché non basta mai il tempo, e coloro che all’opposto, non vogliono sapere nulla – forse la maggior parte – che dicono ‘fate voi, basta che non senta dolore’, o ‘basta che mi risvegli alla fine dell’intervento’. Ma ci sono anche molti che temono di risvegliarsi durante l’intervento. Purtroppo anche su questo l’informazione non è corretta e… il cinema non aiuta! Dopo l’uscita di un film che ovviamente faceva leva su questo terrore, abbiamo fatto chiarezza. Il tema della ripresa della coscienza, pur se raro (una indagine nazionale in Inghilterra del 2014 ha quantificato 1 caso su 19.000 interventi) è più frequente di quanto non ci venga poi riportato. Va spiegato che il rischio, possibile, si può prevenire adottando tecniche diverse e con il monitoraggio, soprattutto nella tipologia di pazienti e procedure operatorie a maggiore incidenza. L’anestesia è infatti il risultato di un cocktail di farmaci e tecniche, ognuno dei quali è destinato a controllare una funzione: deprimere la coscienza, controllare il dolore, paralizzare la muscolatura per rendere possibile la chirurgia, ecc. Il controllo sul dosaggio e i tempi di somministrazione, il monitoraggio delle funzioni e dei riflessi, il sincronismo con le fasi dell’intervento, fanno la differenza. Quando accade che l’anestesia non è adeguata alla fase, si interviene immediatamente. Ma è anche capitato di sentire il racconto di persone che si sono svegliate durante l’intervento, recuperando la coscienza senza riuscire a parlare e manifestarlo, ad aprire gli occhi (perché appunto la muscolatura era inibita), che non avvertivano dolore ma che hanno “ricordato” parole e fasi realmente accadute e, riferendolo in reparto, si sono sentite smentire e dire che avevano sognato. Non deve accadere. E’ invece bene chiedere di riparlarne con l’Anestesista Rianimatore, che potrà consigliare come superare l’esperienza evitando che si sviluppi una patologia da stress ma, anche e soprattutto, valuterà come evitare che accada ancora. Non bisogna avere paura di manifestare questo timore, e va discusso con lo specialista.
E invece quali sono i luoghi comuni difficili da vincere?
Ce ne sono molti. Ad esempio quello che non bisogna mangiare nulla o bere nulla fin dalla sera prima dell’intervento! Falso: ci sono tabelle con le regole cui attenersi – ed è bene farlo o riferire all’Anestesista Rianimatore se si è dimenticato, ingerendo cosa e in che misura. Il più delle volte una informazione errata viene riferita dal personale di reparto, che per eccesso di prudenza esagera. La visita è il momento ideale per informarsi. Altra “fake” difficile da sfatare è che nausea e vomito siano utili a ‘smaltire’ l’anestesia. Non è vero: può accadere che farmaci infusi per tenere sotto controllo il dolore provochino nausea e vomito, che si possono e si devono prevenire e trattare, come il dolore stesso. O ancora: che altri specialisti si spingano a informare sull’anestesia, sbilanciandosi a indicare quella generale o tecniche loco-regionali in sedazione: a volte la scelta è inevitabile, ma le tecniche possono essere combinate e la valutazione spetta all’Anestesista Rianimatore, che può consigliare la strategia a minore rischio. Poi c’è la madre di tutte le false convinzioni e cioè quella che l’anestesia di per sé sia pericolosa: non è così, le complicanze postoperatorie ed i rischi che ci devono far preoccupare non sempre possono essere evitati, ma in molti casi la prevenzione è complessa e dipende da molti fattori: pensiamo alle infezioni chirurgiche ed alla sepsi, un flagello contro cui il nostro Paese sta facendo troppo poco.
I falsi miti alimentano le paure. C’è una convinzione errata che più di altre è difficile da sconfiggere?

Forse quella che l’Anestesista non sia un medico. Mortificante che non si riesca a comprendere, neppure alla stampa! Forse perché chiusi nel “misterioso mondo” della Sala Operatoria, o prendendoci cura dei pazienti in Terapia intensiva o impegnati nelle rianimazioni in emergenza, non ci si vede a fare il “giro” in reparto in camice bianco e cravatta, c’è ancora molta gente che non sa come occorra specializzarsi in questa disciplina dopo essersi laureati come medici. Per occuparsi di anestesiologia è necessario sviluppare anche competenze in terapia del dolore, tecniche di rianimazione, procedure di terapia intensiva e altamente specialistiche come la medicina dei trapianti. Siamo al fianco dei pazienti operati in elezione ma anche in emergenza, ci occupiamo di garantire il recupero postoperatorio di tutti i pazienti, a maggior ragione dei più fragili, che hanno bisogno di essere assistiti in aree protette e per i quali spesso non è sufficiente offrire la Terapia Intensiva ma occorre parlare di cure palliative e di assistenza al fine vita. Di tutto questo i cittadini non hanno coscienza, preoccupandosi tanto degli aspetti chirurgici, senza valutare l’organizzazione del percorso clinico nel suo complesso e per indicazioni appropriate, anche per quanto riguarda “l’anestesia e la rianimazione”.
Bambini, anziani, persone ad alto rischio per fenomeni che aumentano, come l’obesità: ci sono persone che si possono considerare più a rischio di altri, più fragili E aumentano gli anziani. Qual è il consiglio da dare?
Le categorie di pazienti a rischio aumentato o fragili sono in aumento, perché per fortuna la medicina moderna ha aumentato la sopravvivenza! Dovendo dare un consiglio in generale ribadirei di valutare con il Medico curante la struttura in relazione al caso. Nulla è banale: per esempio la tonsillectomia nei bambini: non è un intervento ad elevata complessità di per sé ma diventa a rischio se si affronta in una struttura dove se ne fanno pochi ogni anno e dove non si è organizzati adeguatamente ad operare ed assistere bambini, dove il percorso non è adeguato ad accoglierli per esempio nel postoperatorio, dove le competenze del personale non sono allenate. Lo stesso ragionamento vale per i pazienti obesi, che corrono maggiori rischi se trattati per un “intervento banale” in strutture prive di adeguate attrezzature e personale preparato a trattarli, prevenendo alcuni rischi che comportano o a gestire le emergenze. La nostra Società Scientifica, SIAARTI, ha guidato la pubblicazione sulla stampa medica e sottoscritta da altre Società Scientifiche nazionali, per guidare le strutture sanitarie a organizzare percorsi dedicati agli obesi, ai bambini, ai pazienti anziani affetti da frattura di femore o da sottoporre a chirurgia per neoplasie, come ai pazienti da sottoporre a chirurgia toracopolmonare.

Gli anziani sono pazienti spesso fragili. La valutazione, la preparazione e l’organizzazione delle precauzioni da adottare per un intervento chirurgico sono molto importanti, molto complesse e spesso non è possibile contare sul supporto dei Geriatri, che non sono presenti in tutti gli ospedali. SIAARTI sta condividendo protocolli di gestione del rischio anche con la Società di Geriatria ed il ruolo dell’Anestesista Rianimatore è cruciale. Alla fine si torna sempre al punto di partenza: informarsi, confrontarsi con chi può aiutare a scegliere strutture adeguate ad accogliere il paziente e la sua fragilità e pronte a condividere il percorso di cure con i caregivers. Perché la sfida per il SSN deve far alleare medici e cittadini.
Claudia Maria Ragno
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