Alzheimer, una settimana con Chat Yourself

Il tempo scorre, la vita cambia. Cambiano i sogni, cambiano le prospettive, cambiano anche le paure. Così mi avvicino al tema Alzheimer come non avrei fatto qualche anno fa, quando la fatidica soglia dei 50 anni mi sembrava così lontana. Adesso che mancano solo una manciata di giorni non posso negare che è tempo di bilanci, di ricordi, di progetti. Perché è adesso che l’Alzheimer mi fa ancora più paura. L’idea che sia qualcosa che possa capitare anche me e non in un futuro lontano ma in un domani prossimo mi fa riflettere. Per questo decido di sperimentare personalmente Chat Yourself, l’assistente virtuale messo a punto per Italia Longeva e studiato proprio per le persone in fase prodromica ovvero molto iniziale. Il mio è solo un esperimento giornalistico, per molti una realtà concreta. Sviluppato su Messenger, già oggi utilizzato anche dai senior, Chat Yourself è in grado di memorizzare tutte le informazioni relative alla vita di una persona, restituendole su richiesta all’utente, che ha anche la possibilità di impostare notifiche personalizzate (ad esempio per ricordare di prendere i medicinali). Il chatbot, nato da un’idea di Y&R, con il supporto tecnico di Nextopera e di Facebook e perfezionato grazie ad un team di geriatri, neurologi e psicologi per rispondere in maniera più efficace alle esigenze dei pazienti, è disponibile e accessibile a tutti gratuitamente sulla pagina Facebook di Chat Yourself (@chatyourselfitalia).

Accedo a Facebook e con messenger mi scarico la mia assistente personale. Passeremo insieme diversi giorni. Un assistente virtuale che devo istruire con le mie informazioni. E lo devo fare presto, adesso che sto bene, adesso che le ricordo. Fino a quando mi ricordo chi sono, cosa mi piace, quali sono le mie abitudini. Fino a quando ricordo il nome, il volto, il gusto di gelato che piace a me e anche a mio figlio.

Inizio a seguire lo schema, a riempire le caselle, a segnare appuntamenti e gusti. Ore 7 del mattino e oe 19 della sera doccia: ricordati di usare il balsamo per i capelli. Ore 7,30 cappuccino: ti piace con il latte freddo e senza zucchero. E via così, un passo dopo l’altro, un giorno dopo l’altro. E più riempio e più mi rendo conto che lo posso fare solo io. Perché i miei figli mi conoscono, è vero, sanno chi sono ma non sanno davvero cosa voglio, cosa mi piace e cosa davvero mi disgusta. Io so tutto di loro ma loro sanno molto meno di me. Eppure sarà a loro che dovrò affidarmi un giorno. Saranno loro che dovranno sapere tutto di me quando io non saprò più nulla di me stessa.
Riempio quanto più possibile e inizio la mia nuova vita in compagnia con l’assistente virtuale. Per giorni mi ricorda il nome di mio marito, quello dei miei figli, mi riporta a casa quando vado a comprare il pane al supermercato e le dico che non ricordo più la strada di casa. E più Chat Yourself mi ricorda e più mi rendo conto di quanto terribile debba essere la vita di chi si rende conto che la memoria sta sfuggendo via a grandi passi. E allora penso, per fortuna che c’è un’assistente virtuale. Perché è al fianco di chi sta male. Ma anche al fianco di chi assiste.
Un bip dietro l’altro, una notifica dietro l’altra l’Alzheimer entra per qualche giorno a far parte della mia vita. E capisco quanto tutto sia importante nella giornata, anche un gesto apparentemente scontato e banale. Disattivo l’app. L’esperimento è finito. La lezione di vita che ne ho tratto no.
«L’Alzheimer non colpisce solo il malato ma l’intero nucleo familiare, e soprattutto il caregiver che se ne prende cura ogni giorno, spesso per anni, sottoposto allo stress, alla stanchezza, e alla sofferenza di vedere il proprio caro perdere sempre più la propria storia, i propri affetti, il proprio stile di vita- dice Patrizia Spadin, Presidente AIMA-Associazione Italiana Malattia di Alzheimer- La famiglia ha bisogno di essere appoggiata lungo il percorso di malattia, di acquisire le conoscenze necessarie per stare vicino al malato, ma anche di poter contare sui servizi di presa in carico. Le tecnologie digitali possono contribuire al miglioramento della qualità di vita di tutti i soggetti coinvolti. E i social network possono essere degli straordinari alleati perché consentono di vivere la malattia in una dimensione collettiva e partecipata, che aiuta ad avere una maggiore consapevolezza del problema. Speriamo molto nella sensibilità anche di chi oggi non ne è toccato ma che potrebbe esserlo domani».
«Per l’Italia, Paese più vecchio al mondo con il Giappone, le demenze rappresentano un problema medico-sociale ogni giorno più grande – aggiunge Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva- Ciò vale in particolar modo per l’Alzheimer, senza dubbio la forma di demenza più prepotente e violenta, sia sotto il profilo epidemiologico, sia per l’impatto sulla qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari. Questa patologia oggi interessa quasi il 5% degli over-65, ma secondo le proiezioni elaborate dall’ISTAT per Italia Longeva, nel 2030 la percentuale si triplicherà e saranno colpiti dalla malattia ben oltre 2 milioni di pazienti, in prevalenza donne. In attesa di cure efficaci contro l’Alzheimer, una strada percorribile nelle prime fasi dopo la diagnosi è quella di sfruttare le risorse della tecnologia. Chat Yourself è nato con questo obiettivo: contenere il danno provocato dalla malattia, affiancando all’impegno dei propri cari un aiuto concreto a ricordare».
L’Alzheimer comporta un lento e progressivo decadimento delle funzioni cognitive, dovuto all’azione di due proteine, la Beta-amiloide e la proteina Tau, che si accumulano nel cervello causandone la morte cellulare.

«Evidenze scientifiche ci dicono che l’attacco ai neuroni ed ai circuiti nervosi inizia almeno 15-20 anni prima della comparsa dei ‘tipici’ disturbi della memoria. Questo perché nel nostro cervello c’è un numero enorme di cellule, circuiti e sinapsi “di riserva” in grado di sostituire quelli danneggiati o distrutti dalla malattia, fino a quando non si arriva a una soglia limite, superata la quale il meccanismo degenerativo diventa inarrestabile – spiega Paolo Maria Rossini, Direttore Area Neuroscienze, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS-Università Cattolica, Roma – Il limite dei trattamenti terapeutici sin qui tentati – prosegue l’esperto – è stato proprio quello di essere somministrati in presenza di una sintomatologia già conclamata corrispondente ad una fase di malattia in cui le riserve plastiche del cervello sono esaurite. In sostanza, come voler curare il cancro in un paziente plurimetastatico. Per questo motivo, gli sforzi della ricerca sono sempre più tesi a individuare le caratteristiche prodromiche, precocissime e spesso visibili solo con l’ausilio di esami strumentali, così da intervenire il prima possibile con trattamenti specifici e supporti tecnologici».
L’Italia è in prima fila in questa attività di ricerca con il progetto ‘Interceptor’, che ha l’obiettivo di intercettare con precisione i soggetti che svilupperanno la patologia di Alzheimer.
Claudia Maria Ragno
(Foto: Pixabay e Chat Yourself)